
Questo è un libro nudo, anzi senza pelle, carne viva. Durissimo ma sorprendentemente sincero, quasi viscerale. Eppure misurato, pieno di grazia, di rispetto, di pudore. Intimo ma anche in qualche modo universale. La nascita la morte la malattia il dolore la gioia il rimpianto la paura. Il filo conduttore dell’amore che racchiude tutte queste cose insieme. Sono temi di tutti, necessariamente. Le parole asciutte, prive di retorica, eppure calde e vive restituiscono il senso di un’esperienza fortissima di passaggio, di un passaggio cruciale. Sembra quasi che il lettore possa partecipare a quel passaggio o che comunque sia messo in condizione di comprenderlo a pieno.Il libro raccoglie la testimonianza vivida dei giorni e delle emozioni vissute dall’autore durante la lunga degenza del figlio in ospedale. Scritto in prima persona, mette in luce come ogni legame porti con sé dei rischi e che amare significhi anche confrontarsi con una possibile perdita. Matteo, il secondogenito di Michele, a pochi giorni dalla nascita, è colpito da un’emorragia cerebrale e viene ricoverato d’urgenza a Roma. In quei giorni Michele si trova a condividere con la moglie una riflessione sul tempo e le cure da dedicare a Matteo, e sull’accudimento del figlio maggiore di soli sette anni. Ma c’è anche altro da gestire: l’angoscia per un’ipotetica disabilità futura che potrebbe scaturire dalla malattia e l’aggravarsi delle condizioni del padre, affetto da morbo di Alzheimer. Dopo tre interventi alla testa e una lunga convalescenza, Matteo viene dimesso in buone condizioni. Il padre invece morirà qualche giorno dopo.
Michele Greco (Palermo 1968), dopo la laurea in Economia, si trasferisce a Roma dove lavora come funzionario presso un’istituzione pubblica. Ha una moglie e due figli, ed è stata proprio la malattia di Matteo, secondogenito, a sollecitargli la scrittura di “In buone mani”. Lettura e scrittura figurano tra le sue più intense passioni.