Un amore verdiano, quasi casuale

Scoperta la passione per la musica ad appena 4 anni, Marijn Simons, il compsitore e direttore olandese, ha assistito, dal 2012, Markus Bosch in diverse produzioni, anche in occasione degli Opernfestspiele di Heidenheim. Nell’edizione 2018, intitolata ZUFLUCHT (rifugio) in scena diverse opere di Verdi, tra cui, anche il Nabucco.

 

Quest’anno, hai diretto il Nabucco a Heidenheim. Un’esperienza…

Ho avuto il piacere di dirigere l’opera un paio di volte. Sebbene ciò sia stato sempre all’interno del centro congressi è stata un’esperienza fantastica, perché l’acustica della sala è perfetta. Oserei quasi dire che è perfino migliore di diverse sale concerti. Ciò non significa però che l’ambiente storico dello Rittersaal, non abbia il suo fascino nelle calde sere d’estate offrendo anche una bella acustica.

 

Che relazione artistica hai tu con il Nabucco?

In primis devo dire che la musica di Verdi mi piace molto. Parlando nello specifico di questa opera, quello che più mi tocca è la situazione in cui è stata composta: la moglie e la figlia di versi erano morte e l’opera precedente era stata un fallimento, perché il pubblico non l’aveva recepita bene. Così, a Verdi, era rimasta quell’opera su commissione, il Nabucco infatti che doveva rappresentare, in un certo senso, un’ancora di salvezza e la ragione per cui Verdi avrebbe continuato a comporre. Io la considero, pertanto, sia un’opera emblematica per Verdi che per l’intera storia della composizione musicale.

 

Dalla tua ottica di compositore, quali elementi della composizione del Nabucco, rendono questa opera un capolavoro?

Tanto per iniziare il fatto che con elementi compositivi molto semplici, Verdi sia stato in grado di creare  una musica quasi miracolosa. La musica è, spesso, in contrapposizione alla situazione drammatica (difficile da capire per diverse persone) e, secondo, me, un’anticipazione di modernità. Per sottolineare un momento drammatico in scena è narrativamente più forte sottolineare il momento con musica delicata. Solo una delle tecniche che Verdi utilizzò.

 

Domanda d’obbligo: Il coro e la sua funzione?

Il Nabucco è conosciuto, appunto, per l’aria “Va pensiero” dal Nabucco che getta ombra anche sulle altre arie, meno famose dei protagonisti. È proprio l’aria del corso che fu determinante per il successo dell’opera.

 

Ci hai appena detto di amare Verdi. Quando lo hai ascoltato e interpretato/diretto per la prima volta?

Ad essere sincero, fino a 10 anni fa, Verdi non mi piaceva molto, probabilmente perché il mio primo incontro è stato attraverso delle arie che avevo sentito nei galà operistici. Quando si sentono solo degli estratti, si perde, secondo me, il senso dell’intera opera e l’aria si riduce ad una semplice melodia, interessante e bella. A me, però, mancava la storia e il contesto complessivo.  Quando ne discussi con un amico musicologo della Princeton University, Christopher Hailey, questi mi suggerì di ascoltare Falstaff. Feci come lui mi suggerì e così, 10 anni fa, cambiai la mia opinione su Verdi. Immediatamente dopo fu il turno di Rigoletto e questo fu il momento in cui riconobbi il valore di Verdi.

 

Ho suonato il violino in molte delle opere, ma a prima che ho diretto è stata Macbeth e il Nabucco è, appunto la seconda.

 

Violinista, compositore, direttore: come nasce questo abbinamento?

La prima volta che presi il violino in mano avevo 4 anni. La composizione arrivò quasi di pari passo. Ovviamente, le prime composizioni erano quelle che suonavo io poi. Il primo incarico ufficiale arrivò, per L’orchestra di Den Haag, nel 1998. Da allora ho scritto diversi altri pezzi, sempre su commissione.

Ho iniziato la mia carriera come violinista solista. In qualità di solista bisogna avere la possibilità di investire almeno 4-5 ore in prove per cui, con l’aggiunta delle attività di compositore e di direttore d’orchestra, ho dovuto definire delle priorità. Per questa ragione, ho deciso di non esibirmi più come solista in grandi concerti ma solo, a seconda delle mie possibilità tempistiche, in concerti più intimi, come quelli da camera.

Il mio ruolo di compositore è complementare a quello di direttore, perché mi permette di svolgere entrambi i ruoli con una maggiore conoscenza del soggetto.  Il ruolo di direttore arrivò, naturale, circa 10 anni e fu la conduzione di una composizione scritta da me.

Fu proprio in quell’occasione che Markus Bosch, il direttore del Festival di Heidenheim, mi chiese di dirigere la Madama Butterfly ad Aachen, il mio debutto come direttore d’orchestra in un’opera. Fu quasi, il mio test d’ingresso, che mi permise di diventare l’assistente di Bosch nei Opernfestspiele di Heidenheim, ma anche di consolidare la mia carriera di direttore.

 

Come si sente un direttore d’orchestra a dirigere?

La direzione non è, per me, un’esperienza egocentrica bensì un ruolo importante che ha lo scopo di riuscire a metter in evidenza le intenzioni del compositore e di essere in grado di comunicarle all’orchestra e, attraverso di essa, al pubblico.

Alcune volte bisogna anche essere in grado non solo di imparare una partitura velocemente, ma anche di essere in grado di trasmetterla adeguatamente.

 

Elisa Cutullè

 

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