La lite, ovvero…Il potere dell’onomatopea

Cosa succede se si prende uno dei maggior commediografi del XVIII secolo e lo si traspone nel XXI secolo?  Matthias Rippert (regia), Fabian Liszt (scenografia), Johanna Lakner (costumi), Robert Paweliczek (musica) e Simone Kranz (drammaturgia) ci hanno provato.

Lo spettatore si ritrova davanti a  una scena duale: a sinistra un ascensore sovraddimensonale e a destra uno schermo appeso di traverso. Di Rococò non sembra esserci molto, a prima vista. Eppure, quando le luci si abbassano, lo schermo si illumina e diventa, in realtà, un piccola finestra sulla vita del Principe (Philippe Weigand) e Hermiane (Juliane Lang). Entrambi sfavillanti e consoni al proprio tempo: con la puzzetta sotto al naso disquisiscono della fedeltà tra uomo e donna, lanciandosi in ipotesi avventate. O meglio, a farlo è Hermiane, perché il principe, ben presto le rivela che, qualche anno fa, il padre aveva proprio iniziato un esperimento allo scopo di scoprire in quale dei due sessi fosse innata l’infedeltà.

“Vittime”, per così dire due ragazzi e due ragazze [ Eglé (Raimund Widra), Azor (Barbara Krzoska, Adine (Michael Wischniowski) e Mesrin Llisa Schwindling)], che, separati tra di loro, crescono supervisionati dalla coppia di Mesrou (Thorsten Loeb) e Carise (Martina Struppek). Ognuno dei 4 ignora l’esistenza dell’altro, fino al giorno in cui, finalmente gli viene concesso di conoscersi.  Così Eglé, in ascensore, incontra per la prima volta Azor ed è irritata… irritata perché Azor non è completamente affascinato da lei, che è così perfetta, unica. In effetti, lo spettatore scoprirà, che non si tratta di un caso isolato, perché, a dire il vero tutti e 4 sono convinti della stessa cosa: di essere bellissimi, unici e particolare e che tutti gli altri (sebbene il mondo all’inizio si limiti a pochi) debba semplicemente adorarli. Quando questo, successivamente, non succede, ecco che incominciano a perdere la sicurezza di se stessi, e a soffrire di crisi di identità: esiste la perfezione? Come si definisce perfezione? Chi stabilisce i canoni della bellezza? Perché esistiamo e cosa vogliamo? Troppe le domande per il 4 che, finora, hanno vissuto così ovattati. E nemmeno i custodi sono in grado di rispondere ai loro quesiti: all’inizio suggeriscono di “non esagerare” con la vicinanza, ma, ben presto, si rendono conto che la situazione non è gestibile e, perdono le staffe. Ad essere precisi è solo Carise a perdere le staffe, Mesrou si limita ad annuire, sottolineare e commentare in maniera onomatopeica ciò che succede, quasi che sprecare una singola parola fosse un’azione totalmente vana.  Grazie alla scena essenziale di Liszt e ai costumi che oscillano tra elementi rococò ed essenzialità black & white anni 70, Rippert riesce a creare uno spaccato atemporale: non importa il luogo storico, importa il luogo, l’isolamento (l’ascensore) che si apre su sprazzi di vita (sottolineati da musica e colori), che i protagonisti non riescono ad assorbire, accettare. Troppe variabili, troppe scelte, troppe opzioni, troppe novità.

Non riuscendo a trovare la giusta misura, come suggerito da Carise, i quattro vogliono avere tutto e subito, declinando responsabilità e serietà. Tutto e subito alle spese degli altri.

Egoismo allo stato puro? No, piuttosto una critica alla società del XXI secolo che crea sempre più applicazioni che esaltano il narcisismo e acuiscono la solitudine delle persone. L’ascensore dovrebbe essere un luogo affollato, sempre pieno di nuove persone con tante possibilità di conoscenza. Eppure è un luogo in cui le persone rimangono concentrate su se stesse, giocando al massimo con uno smartphone, ammirando foto di se stessi e dimenticandosi di quello che c’è attorno o quasi… perché pe ril sesso c’è sempre tempo luogo? Le conseguenze? Chi se ne frega!

Il principe ed Hermiane devono concordare, alla fine, che l’infedeltà non è riconducibile ad un singolo sesso, bensì alla natura umana in nuce. Ma siamo davvero così rovinati? Mesrou, alla fine, racconta di una coppia che ha dimostrato di riuscire a credere all’amore. Favola o realtà, sia lasciato allo spettatore deciderlo…. Ehm.

 

Elisa Cutullè

 

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