Otello ovvero la maledetta gelosia

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Sarà l’ultima messa in scena di Dagmar Schlingmann che, ad ottobre, si sposta nel teatro di Braunschweig. La scelta cade sull’Otello di Shakespeare, come mai?

Lo dimostra alla prima del 25 marzo presso lo Staatstheater di Saarbrücken: in scena non si trova né l’opulenza né l’articolato linguaggio shakespeariano, bensì una versione epurata, distillata e concentrata sull’essenza?  Come renderlo possibile?  Epurando la scenografia (Sabine Mader) e riducendola a due piani  paralleli, otticamente a tromb d’oeil che creano un senso di profondità infinita e, al contempo di linearità sterile; trasformando i costumi (inge Medert)  in supporti caratteriali,  atemporali; arricchendo la drammaturgia (Bettina Schuster-Gäb) con espressioni  o riferimenti contemporanei;  inserendo sottolineature musicali (Alexandra Holtsch); asessuando i ruoli, facendo interpretare Iago da una donna (Nina Schopka) e decidendo di non far truccare come uomo di colore l’interprete di Otello (Ali Berber).

Certamente un esperimento rischioso, in quanto il pubblico, in questa asetticità generale, è ancora più concentrato sulla resa interpretativa dei protagonisti e sul messaggio da trasmettere. Un messaggio che smantella la crudeltà dell’uomo: la cattiveria, impersonata dal personaggio di Iago non ha sesso, è pura cattiveria e basta, scaturita dalla paura del diverso. Manca ogni tentativo di raffronto e resta solo il desiderio di non voler uscire dall’abituale sicurezza. Non viene mai messa in discussione la propria impostazione, ma cercata una scusa per poter trasferire sull’altro le proprie paure. E quale metodo migliore se non instillare la pulce nell’orecchio di un fantomatico tradimento di Desdemona (Vanessa Czapla) con il tenente Cassio (Cino Djavid).

Il limite tra verità e percezione personale non viene mai chiarito, definito: è in continuo bilico e pervade tutti i personaggi. Un vero spaccato di vita.

 

Elisa Cutullè

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