Un ancora dal nome “Sassofono”- Incontro con Rosario Giuliani

Rosario small

Nato e cresciuto a Terracina, una città in cui del Jazz non ve ne era nemmeno l’ombra, grazie alla suat tenacia e determinazione, nonché all’amore rispettoso per la musica. Rosario Giuliani è diventato uno dei sassofonisti Jazz più apprezzati.

 

Noi l’abbiamo incontrato a Saarbrücken in occasione del Jazz Festival 2014 per parlare con lui di amore per la musica in Europa, e non solo.

 

L’Italia e la Germania come recepiscono il jazz? Ci sono differenze?

In generale, direi, che ogni nazione ha un proprio modo di recepire la musica jazz. Ho recentemente concluso un tour di due settimane in Russia (Siberia) e le differenze erano davvero tangibili.

Se dovessi fare un paragone specifico tra Italia e Germania, potrei azzardarmi a dire che, da quello che ho recepito, in Germania c’è un po’ più di rispetto nei confronti del mondo dell’artista. Non intendo rispetto verso la musica in generale, ma proprio il mondo dell’artista e il fatto di essere artista.

Lo penso perché lo recepisco dalle conversazioni che poi ho con la gente. A me piace molto dialogare con le persone che vengono a sentire i miei concerti per capire che tipo di emozione hanno provato attraverso la mia musica. Mi è parso di capire che ci sia molta più curiosità nel capire che cosa rappresenti la mia forma d’arte per me e non soltanto per il pubblico. Il mio pubblico spesso mi chiede da dove venga il brano, come sia stato scritto e come sia stato concepito. A volte anche dettagli molto profondi che, in Italia, non mi vengono nemmeno chiesti.

Questa potrebbe essere una differenza. Tuttavia, in generale, devo ammettere che, da parte del pubblico non ho trovato molte differenze in Russia, Germania o Italia. È semplicemente un altro modo di percepire la musica nei dettagli.

Non so se si possa fare un discorso per nazioni. Abbiamo fatto, per esempio due concerti in Belgio e, pur essendo tenuti nella stessa città, erano completamente diversi tra loro. Forse eravamo noi diversi o perché suonavano diversamente. Il pubblico, il primo giorno, era più caloroso, più coinvolto mentre il secondo giorno era meno coinvolto ma più espansivo alla fine: è letteralmente esploso. Come se avessero mantenuto la tranquillità per il tutto il concerto e poi darti tutto alla fine.

Ritornando ai tedeschi, ribadisco, mi pare che abbiamo maggior attenzione al dettaglio e, forse, più rispetto quando un artista è sul palco. Ho suonato diverse volte in Germania e quello che ho notato finora è che, anche se suono in piccoli club, il pubblico non vuole perdersi un respiro e non vola nemmeno una mosca, dall’inizio del concerto fino alla fine. Spesso sono perfino imbarazzati se muovono una sedia e fanno rumore.

Ciò mi riporta alla mia percezione: rispettano proprio l’essere artista e non vogliono disturbarne la concentrazione o il modo di andare a fondo nella musica, perché quello andrebbe a danneggiare la performance e quindi quello che il pubblico andrà ad ascoltare.

Prima di venire per la prima volta a suonare in Germania pensavo che i tedeschi fossero molto freddi e non i lasciassero mai andare. Conoscendoli ho notato che, invece, è esattamente l’opposto: il tedesco è molto ospitale e ha un grande rispetto per la cultura (è culturalmente molto preparato).

 

Potrei dire che è così anche per la Russia: il paese è climaticamente molto freddo, ma il popolo russo è veramente fatto da persone speciali. Ho avuto l’impressione che si accontentassero delle piccole cose e che questo atteggiamento venisse protetto perché sanno apprezzarne il valore e capirne l’importanza. Il pubblico, per esempio, mi ha regalato una standing ovation di 10 minuti dopo il primo pezzo.

 

Come è nata la tua passione per la musica e per il Jazz in particolare?

Non sono stato io a scegliere il Jazz. È il Jazz che ha scelto me. È un momento fondamentale della vita in cui ti rendi conto quale è la tua propensione naturale.
La musica, invece, è stata una cosa che io non ho scelto. Da piccolo ero davvero molto aggressivo, quasi un delinquentello da strada. Mia madre era molto preoccupata per me e per il mio futuro, ha visto oltre e si è consultata con alcune persone, decidendo, poi di iscrivermi a un corso di arti marziali (cosa che ho fatto in maniera seria) e parallelamente a scuola di musica. Io all’inizio non ci volevo andare, lei però mi ha costretto ed entrato nella scuola di musica, l’insegnante mi chiese cosa volessi suonare e fu mio fratello a decidere per me sul sassofono. Io volevo semplicemente scappare. Dopo solo un mese io e il mio sassofono siamo diventati inseparabili, talvolta anche esagerando: il sassofono era diventato il mio compagno di giochi e il mio compagno di scuola: me lo portavo praticamente ovunque.

L’amore per il sassofono e la musica mi ha spinto poi a fare il conservatorio studiando il sassofono classico. Dopo il conservatorio ho continuato a suonare musica classica in diverse orchestre.

Il jazz è entrato molto tardi nella mia vita: avrò avuto circa 28 anni.

 

Non suoni da solo. Come è nato il gruppo intorno a te?

La scelta dei musicisti diventa una parte fondamentale del processo musicale. Non è sufficiente avere solo dei bravi strumentisti. Puoi prendere il meglio del basso, il meglio della batteria e il meglio del piano, ma ciò non significa necessariamente che avrai il miglior risultato musicale.

Bisogna capire e percepire se un musicista riesce a far suonare uno strumento come lo suonerei io. E qui sta la sfida. Quando si scrive un brano si immagina un suono e la cosa difficile è riuscire ad avere quel suono nella realtà. E poi deve funzionare la chimica tra i membri, perché il gruppo diventa una vera e propria “Famiglia on the road”.

 

Progetti futuri? Sogni nel cassetto?

C’è un progetto che realizzerò tra qualche mese, a cui pensavo tanti anni fa. Si tratta di un progetto con Big band che, assieme a me, suona la mia musica. È una realizzazione di un sogno che sta diventando realtà.

Una delle cose che invece ho in testa e che nei miei viaggi intorno al mondo mi attira sempre, è la musicalità propria di una nazione riunita in un progetto musicale globale. Un gruppo con musicisti di verse zone del mondo: un percussionista africano o cubani, un musicista russo, uno cinese e uno scandinavo per unire le esperienze e vedere cosa ne viene fuori.

Sono abituato a non parlare di sogni: i sogni sono enormi e a volte non realizzabili: preferisco pensare a grandi idee che posso, però realizzare.

 

Elisa Cutullè

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